Andreacci Maldini Silvana – La maschera esistenziale e Colpo di scena
da: Il segno dei giorni
Adriana
Il cielo grigio e le raffiche di vento annunciavano pioggia o neve. Adriana chiuse bene la finestra, ma il vetro era rotto in un angolo così uno spiffero d’aria le arrivava proprio sulla schiena. Spostò il piedistallo col catino, travasò dalla brocca un po’ d’acqua fredda e si lavò la faccia; dopo s’infilò i calzettoni, gli zoccoli, il solito vestito ormai sbiadito e il golfino di lana grezza. Stava crescendo e il vestito s’apriva sul seno; cercò una spilla da balia e vi rimediò, poi scese di corsa le scale. La grande cucina era deserta e il fuoco spento.
” Zia! ” Chiamò ad alta voce, ma nessuno rispose.
Provò un tremore lungo la schiena e s’abbracciò per scaldarsi un poco. Guardò fuori: da un lato la calle era vuota; dall’altro il rio era fermo e gelido, tanto da sembrare una lastra di zinco. Da quando Carla le aveva raccontato la storia della mano morta, aveva ancora più paura di stare da sola. Era una sensazione che la bloccava ed alle volte si rannicchiava immobile con l’impressione di avvertire delle presenze.
Di notte succedeva lo stesso qualcosa di strano: ogni tanto sentiva scricchiolare l’armadio o il comodino, oppure le imposte sbattevano anche in mancanza di vento. Per fortuna dormiva con una delle sue sorelle, così si stringeva a lei finché il sonno non la coglieva. Loro avevano dovuto alzarsi alle quattro per andare in campagna a “borsa nera” perché quel poco che si trovava a Venezia aveva prezzi esorbitanti. Le aspettava ogni volta con ansia e si sentiva messa in disparte, ma era ancora troppo giovane per quellimpresa.
Un tonfo la fece trasalire: era la zia. Aveva dato una pedata al portone e teneva una cassetta di legna tra le braccia.
” Cosa fai lì impalata, dammi una mano! ” Esclamò nervosamente.
Le corse incontro, e dopo aver chiuso il portone le tolse la cassetta dalle mani e la portò vicino al camino.
“Perché hai fatto tutta questa fatica? Potevi svegliarmi, sarei venuta con te” la rimproverò, ma in cuor suo era contenta di aver evitato il gelo della mattina.
“Ma se dormivi come un ghiro! Ora, se vuoi, datti da fare con la legna” saltò su la zia, e togliendosi il cappotto si diresse più veloce che poteva verso l’attaccapanni.
Zia Cecilia era un po’ zoppa e quasi sorda. Aveva un carattere rigido e controllava ogni loro movimento, tanto che la chiamavano “il carabiniere”, ma le volevano un gran bene.
Il fuoco non prendeva perché la legna era ancora bagnata e tossendo per il fastidio guardava il fumo salire. L’odore acre le riempiva le narici, sempre di più; il fumo si propagava sino ad avvolgerla completamente, sino a penetrarle la pelle, tanto che non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Si decise a mollare tutto e andò ad aprire la finestra. L’aria fredda le diede subito sollievo, anche se si sentiva come un ghiacciolo, e dopo un po’, rinfrancata, tornò al camino. La legna nel frattempo si era scaldata e delle piccole lingue rosse danzavano allegre. Il fuoco per lei era magico e non si stancava mai di ammirarlo; così, assorta, immaginava forme strane, calde e voluttuose Si chiedeva: “Che sia così l’inferno?”, e con la fantasia vedeva grandi fiamme gialle e rosse, che in un ritmo crescente s’innalzavano all’infinito…