Aria d’altro… Note critiche
Note critiche aAria d’altro colore
Paolo Barbagli
È qui una mente meno bambina che in Dal gesto d’inizio, che sveste il concreto dalle finzioni dell’astratto. Così facendo, “per paura di soffrire a volte si elimina l’emozione”, e Laura registra questi periocolosi vuoti dell’anima che insidiano la sua e la nostra poesia, questo inizio di fine che si insinua dentro di noi tra una parola e l’altra, tra un silenzio e il successivo.
Percioli che vengono fugati quando il pensiero riprende e talvolta supera l’antico nitore, e l’alba ed il tramonto dialogano come “azione” naturale per eccellenza, merito di un poetare abbeverato nei suoi momenti migliori alle fonti stesse delle cose.
Laura Pierdicchi promette arie d’altro colore ancora più prosciugate e radicate nell’essere, se solo lascierà crescere, senza forzarlo, lo stupore che ancora, inaspettato, talvolta la coglie.
Giovanni Chiellino1992
Un incedere nervoso, continuo, avvolgente; una folla d’immagini chiusa nella densità dell’idea, un pensiero ampio che ancora si allarga in respiri ora di pacato sguardo sul mondo, ora di contenuta meraviglia difronte al creato, ora di amara sapienza del vivere, costituiscono la struttura e il contenuto della poesia di L. Pierdicchi.
Le parole, punte acuminate dell’anima, penetrano la materia e la disvelano mostrandone l’arida ombre: “l’occhio oltre ogni forma | si perde nell’ombra”, “In quel nero | ho deposto il tuo transito”, il greve ailenzio: “La casa ha molte finestre | ma non c’è voce”, la fredda solitudine: “Quello che rimane è solitudine”, il cupo vuoto: “muove la bocca per suoni | buttati-vuoti nel vuoto”. Lo specchio e l’occhio, segni semantici ricorrenti, riflettono finzioni, ci offrono abbagli e di queste finzioni, di questi abbagli si veste la poesia della Pierdicchi e parla del nostro vivere, “di quello che c’è e non esiste”, ci racconta l’amore, ascolta il battere del cuore e insegue il confine “Occhi stupiti alla fine del tempo” per tornare al “materno grembo” con la complicità di un atto dovuto, un gesto obbligato: la piroetta della morte, “L’angelo nero” che ci sta a fianco. La memoria della Pierdicchi non dilata il tempo, ma lo condensa, lo chiude nella pausa del pulsare del cuore, tra un inizio e una fine, quando avvengono i mutamenti, si prepara la metamorfosi: n’è misura il passo lento dell’uomo, l’occhio che “proietta in sé il proprio transito”.
Con un linguaggio incisivo e nuovo, con uno stile fresco e originale Laura Pierdicchi pone sulla scena i piccoli grandi avvenimenti della nostra quotidiana vicenda e, immergendoli in un’Aria d’altro colore, li sublima nella rarefazione del sogno, nella divina tensione-emozione della poesia.
Giovanni Dinoin: Spiritualità & Letteratura, Palermo 2003
Versi belli, aulici, pregni di immagini e metafore che vanno al di là di ogni possibile riscontro intuitivo. Forse questa ricchezza metaforico nasconde, e bene, sofferte condizioni, punti di vista, o la possibilità di un vivere libero e personalizzato secondo la propria indole. Una poesia che ruota nell’ombra di un dire, anche se illuminata da una coraggiosa voglia che vorrebbe mettere tutto in luce. Una poesia di tensione d’amore e di tenere sensualità, dove la religione del cuore emerge prepotente, come profumi d’anima-prati che s’elevano al cielo.
Paola Lucarini Poggi1992
Gentilissima amica, parafrasando un po’ Buñuel, il fascino discreto di Aria d’altro colore, lo ritrovo nel ricercari spesso e succoso del pensiero; la forma musicale incornicia felicemente il gusto lirico del narrare, mai dimentico del sacro simbolo del dolce meditare dantesco: termine fisso d’eterno consiglio da cui traggono forza e vigore metafisico i versi della prima parte del tuo volumetto.
Laddove l’ampio gesto naturalistico, ch’è di supporto alla scrittura, permette lo sbocciare di fiori introvabili nei fisici emisferi e men che mai nel polito reame della Ragione. D’altra parte, il lirico amoroso fraseggio non poggia piede sull’incauta pendenza del sentimento, bensì, dall’etereo, prende forma e assetto, elegia d’amore. A ben ripensarci, fra le due parti non v’è differenza alcuna, senonché la prima attinge dalla metafisica il gesto e il gusto della ragione; la seconda, per converso, sembra partorir dal sentimento, raptus che quasi sempre, per altezza di contenuti è celestiale.
I miei più vivi complimenti, anche se avrei preferito l’ironia dell’éscamotage nel rimescolare un po’ di tutto: carte e nobili emozioni.
Oreste Macrì1992
Gentile signora Pierdicchi, La ringrazio del sono delle Sue poesie, che sto leggendo con attenzione e interesse primario sullo stato poetico degli anni Settanta: un nuovo pathos cosmico-materico, che lo riporta al nostro protonovecento di cui Onofri, Comi, Fallacara, Rebora, nel solco della Triade (Carducci maremmano, Pascoli sotterraneo-sepolcrale, D’Annunzio orfico-persefonico). Rappresentativa mi sembra, abbandonato il mito linguistico-semiologico delle neo avanguardie un violento afflusso erotico di tutti i sensi ed elementi del corpo nella tentata fusione tra individuo e cosmo, non senza smarrimento nei Suoi momenti lirici migliori, come nel dialogo con l’amante (doppio, sosia, Eco). Non esiste purtroppo critica (esterna e interna a voi stessi poeti) moderatrice e chiarificatrice, sì che l’empito lirico appare scatenato, sovente ongorgato con mescolanza di acqua pura e fango, distratto l’occhio fermo a un solo oggetto, fragore e inudubile, pensieor infermo e luce divina, alienazione e Narciso; che è il magma della Sua poesia. La liberazione è rara, ma autentica: la casa d’infanzia, il “fiore | di seni vergini”, il giusto luziano, la chiusura del cerchio, l’universo nascente, il “verde di quiete”, …
Ancora con animo grato Le porgo auguri e saluti cordiali