Antonio Spagnuolo – Prefazione al libro Mater
Progressive, in un compatto gruppo di composizioni, le trasformazioni esistenziali che emergono da un evidente lavorio di cesello, per una raccolta che si offre quasi come un mazzo di rose, vuoi per la delicatezza del dettato, vuoi per il profumo che riescono a diffondere, alito di fragranze estemporanee che sono anche quella consapevolezza di non riuscire a recuperare il perduto sine causa.
Gli intarsi che la memoria realizza si manifestano numerosi e ben rapportati tra l’io ed il mondo, costituendo non soltanto un raro esempio di coerenza e fedeltà a se stessi, ma anche un richiamo agli affetti domestici nei ciclici ritorni della valenza della storia.
“ E’ sicuro / che intrecciati legami hanno fuso/ il tuo corpo col mio nel pianto di luce/ sicchè tutt’uno è ancora per sempre…/ E’ per ciò/ che passo e ripasso gli atteggiamenti/ le stagioni, gli eventi le espressioni/ i perché i proponimenti le ambizioni./ E’ certa / la paura di essere oggetto tra mura/ e spazi obbligati perché doveroso/ apparire serena quando il ghiaccio/ lungo i lati scivola silenzioso/ a pietrificare il petto…/ E’ per questo/ che tutto inevitabilmente si perde/ in tocchi di verde di rossi di viola/ di nero-nel mosaico del niente/ di un giorno di fine.”
Un percorso di distillazione delle pulsioni intime, nell’accentuazione di un tema che potrebbe apparire spirituale, nella musicalità più evidente del verso, che diventa armonico ed accessibile, mentre la cripticità di alcuni passaggi si coniuga al tormento di una ricerca formale che rende più espliciti gli obiettivi, più leggibile e trasmissibile il contenuto del ritmo.
Per la poesia il tempo che rotola inesorabilmente verso l’incognito “è un fremito che scuote la mente come un vento continuo” ed è capace soltanto di ingarbugliare il pensiero che, come un avventuroso navigatore, si dibatte tra la ricerca del vero e l’indecifrabilità delle illusioni.
Così la costruzione di metafore ha una singolare efficacia nella sperimentazione, nella affinità logica del dettato, nella capacità associativa, nel giustapporsi di elementi decorativi, così come un mistero si rivela alla vita quotidiana e ne coinvolge lo svelamento dei sentimenti.
Proporre in apertura alcune liriche di Emily Dickinson è palese segno di aura diacronica che ha un valore che si innesta nelle principali sequenze di un canto sempre in fuga, ove l’illuminazione intuitiva si traduce nei termini di un universo mutevole ma concreto, fenomenico e stabilizzante. Si affaccia prepotente il dubbio dell’eterno, dell’ignoto che ci aspetta dopo la morte, della capacità di incidere, con la nostra momentanea presenza in questo strano universo, negli intarsi della consuetudine con una qualche proposta che sia indelebile.
Molte le componenti che caratterizzano in positivo questa raccolta, tra il modo naturale e spontaneo con il quale la poetessa riesce a saldare termini specifici a figurazioni cromatiche, tra l’erudizione cristallina che traspare nel dettato, tra il contrassegno di un certo garbo sentimentale che imbibisce il pensiero errante.
“Per la prima volta io/ bimba di pochi mesi/ tra le tue braccia calde-/ colme di cuore esploso/ e sangue/ trasferito nel mio/ per la prima volta/ vidi i contorni e le persone/ in movimento / i tuoi occhi madre / e fu la nascita dal tunnel/ in una luce sconosciuta/ e tutta da scoprire.”
Inconsueto un ricordo del genere, ben sapendo che una bimba di pochi mesi non potrà mai incasellare ricordi che possano essere custoditi negli anni, ma la sospensione poetica di questa composizione rivela un rilievo particolare dato dalla abolizione della temporalità come testimonianza diretta ad un al di là a cui si aspira già dalla prima carezza della custodia corporale.
Il soggetto poetico si aggira nel suo presente e nel suo passato in un intenso afflato che manifesta con eccellente carico culturale ciò che punteggia il fluire del tempo, che sgorga entro un vagheggiato alone di eternità.
Come si può facilmente comprendere dal titolo del volume: “Mater” ogni elaborato rispetta il tema suggerito dalle ispirazioni e ricuce, con palpitazioni sempre più tenere, un tessuto che ben si dispone per un panneggio policromatico, con il quale l’asetticità sentimentale ha depurazione dello sguardo ed accostamento alla esemplificazione concreta delle metafore squisitamente filosofiche.
“E’ ignota la distanza che ci attende-/ il sole nasce ogni giorno/ rapide le ore toccano la sera/ resta la clemenza del caso – credendo/ o entrando nel nulla/ di una finzione senza significato/ che ci condanna allo sfoggio/ di una maschera gioconda.”
Insiste l’incombenza del dubbio nel frammento che ci consegna al precipitare delle ore, e la figura materna di volta in volta cerca di plasmare un limpido incanto che possa compattare un’assoluta perfezione delle emozioni.
La voce della madre ha un tepore persuasivo, l’abbraccio è una favilla ardente, le sospensioni si trasformano in crescita, i capelli scompigliati hanno la magia turchina che riluce nell’amore, il profumo è il puro tocco dell’immenso, la scintilla dell’inizio è apertura del microcosmo che attanaglia la madre alla figlia, i fili d’argento hanno il magnetismo che attrae il trascendente, la punta del coltello brandito perfora il bocciolo sprovveduto della fanciullezza, i ricordi proiettano immagini in un balletto di luci ed ombre in alternanza, ed ogni emozione si dissolve quando il disegno si incrina e si spegne il focolare. “Inutile soffiare sulla brace!”
Un gesto di deferenza conclude le scelte del destino, primo nutrimento, essenziale, a un passo dai sussurri come arco teso tra passato e presente, memoria e devozione, fioritura ed essenza. Una consonanza alla quale la poetessa protende per naturale predisposizione nella nudità dell’istante che rende nuda anche l’anima.