Defelice Domenico – Resurrectio (Viaggio nel dolore)

Resurrectio (Viaggio nel dolore)

Prima di entrare nel merito del contenuto di “Resurrectio”, il nuovo libro di Defelice che si aggiunge alla sua copiosa produzione, devo evidenziare l’accurata veste tipografica e le note introduttive di Vittoriano Esposito, Maria Grazia Lenisa e Sandro Gros Pietro, che svelano (ognuno a suo modo) l’intento dell’autore. Quest’ultimo lavoro è la testimonianza di un momento particolare della sua vita: l’esperienza vissuta nel doversi sottoporre ad un intervento chirurgico. Il viaggio inizia nell’ambulatorio medico dove apprende l’agghiacciante notizia. Da qui il poemetto si snoda nelle tappe di un calvario, che fortunatamente però finisce con una risurrezione. Ma non si deve pensare che Defelice c’imponga tutto il peso del suo dramma personale, incupendoci per la gravità della tematica, anzi, al contrario, è riuscito ad elaborare una poetica talmente ironica che alle volte fa addirittura sorridere.

La sua bravura sta proprio nell’aver saputo trattare la poesia in maniera sperimentale, che fa giustamente dire a Sandro Gros Pietro: “…Il poemetto diviene uno scrigno di rara bellezza, creatività, emozione, intelligenza, garbo e malizia poetica…”. Solo una grand’esperienza e maturità possono dare certi risultati.

Con un tono diretto ed incisivo ci fa entrare nel magma della sanità italiana, elencandone tutti i difetti e relative mancanze. Già dal primo impatto (la prima visita), si nota il distacco con il quale il medico tratta il paziente: “Il dottore è irraggiungibile / dietro il tavolo d’acero massiccio, / difeso ai quattro spigoli / da volti inquietanti di Gorgone.”, e l’insensibilità con la quale emette la “sentenza”. Via via il ritmo accelera fino a diventare un sussulto e tutto s’ingarbuglia, tanto che l’ospedale diventa un’officina e gli uomini divengono macchine (a questo punto anche il linguaggio diventa incomprensibile). Con l’incalzare delle immagini e delle emozioni si entra in una realtà allucinante, esaltata da un ironico acume: “Il tecnico palleggia / un pomello di gomma./ E’ alto e grosso, / baffo alla D’Alema, / cornuti capelli alla Mosé / con in mano le Tavole fumanti.” .

Pur nella drammaticità del percorso, Defelice è attento alle varie sfumature dell’ambiente che lo circonda, e non gli sfugge nemmeno la “femminilità” delle infermiere che nonostante tutto lo attraggono risollevandogli un po’ il morale: “…Muovendosi, / la sua coscia distacca la mia mano / dal gelido bordo del lettino. / Contatto d’un istante, ma mi basta. / Il suo calore umano / è vigore che risuscita, / una vera dolcezza conturbante.” Inoltre, la voce del poeta non è unica, poiché i vari personaggi inclusi nel poemetto parlano, anzi, dialogano e si muovono con un risultato d’immediatezza teatrale. Solo al termine vi è un momento di rilassamento, nel quale la scrittura si distende, ed è quello appunto della “Resurrectio” dopo la sua personale Via Crucis. E solo i volti dei suoi cari “Clelia e i nostri figli han gli occhi lucidi” possono fargli considerare di nuovo l’importanza di esistere “Finalmente qualcosa di umano”.

Quest’ultima fatica di Defelice è un’ulteriore attestazione del vivere odierno, ed è una nuova severa condanna; per chi ha avuto la sfortuna di dover subire un intervento è un rivivere assieme a lui ogni singola stazione.