Defelice Domenico – Silvina Òlnaro
Sìlvina Olnaro (tre atti)
In questo suo ultimo lavoro, composto in tre atti, Domenico Defelice tratta l’argomento senz’altro più difficile e discusso dell’ultimo periodo: la vicenda di Eluana Englaro. Le scene si svolgono tutte nello stesso ambiente: un vasto stanzone di un vecchio ospedale e i vari personaggi si susseguono creando dei dialoghi molto accesi e soprattutto monto avvincenti. Un’altra nota interessante è la scelta particolare dei nomi – soprattutto quelli riguardanti gli onorevoli deputati, senatori e giudici – che evidenzia il coraggio e la vena ironica di Defelice; infatti, l’allusione all’imperizia del nostro sistema giuridico è veramente pesante. Per esempio: Manolesta, Ladro potente, Inciucio, ecc. Pure la decisione di scegliere un tema così difficile (sebbene suggerito da alcuni lettori di Pomezia Notizie) denota un coraggioso coinvolgimento unito alla voglia di dare spazio e voce ai vari aspetti del dramma vissuto da tutta la famiglia Englaro.
Per questo scopo, la forma di presentazione più immediata e coinvolgente è quella teatrale, in modo che i personaggi possano imprimere dei concetti immediati sotto forma di un dialogo incalzante. Defelice quindi ha fatto di nuovo centro. Sin dalla prima scena, già dall’inizio del tragico incidente, si delinea l’angoscia dei genitori, attutita però dalla speranza di un risveglio. Solo il padre esprime dei dubbi, già più fragile emotivamente: “Io ho quasi perso la speranza. Non ce la faccio più a vederla immobile, così, in questo letto di dolore, un vegetale, ormai…”.
La scena del secondo atto si apre con un salto di quindici anni e da qui inizia il tortuoso e doloroso cammino burocratico scelto dal padre per non alimentare più la figlia. Da questo momento il discorso si amplia divenendo problema universale. Da una parte vi è la risolutezza di Olindo, che rasenta una forma maniacale per la depressione di vedere il corpo/vegetale di Silvìna. Dall’altra, le diverse voci che optano in parte per la soluzione inversa. Si apre così un dialogo altalenante alla ricerca di una possibile ragione; una problematica che resta e rimarrà purtroppo aperta per sempre, secondo la coscienza di ogni individuo.
Il dramma abbraccia sia la coscienza individuale sia l’etica sia l’ordine giuridico, accendendo un vespaio di opinioni. Chi condanna severamente la scelta attuata dal padre, non può fare a meno di comprendere l’angoscia di vivere giorno dopo giorno e per lunghissimi anni accanto ad un corpo immobile; un dolore talmente accecante che lo porta a sottovalutare persino la morte della moglie. Chi invece sarebbe propenso a una facile eutanasia, non può fare a meno di pensare che ogni vita è sacra e nessuno è in grado di addentrarsi nella psiche di quel corpo in letargo. Più che giusta quindi la decisione di Defelice di dare spazio a tutte le voci, con le varie possibili varianti, e lasciare ad ogni lettore la libertà di elaborare la propria convinzione. Ancora più giusta la scelta di chiudere il dramma con il silenzio, l’unica soluzione quando si accoglie la morte: Mediconelef “Stacchi pure i sondini, dottoressa Nibono. Spegnete pure le macchine. Ma non voglio più domande, non chiedete più nulla. Adesso cali il silenzio. Qui non si assiste a uno spettacolo, qui si attende la Morte!”.