Dino Giovanni – Un albero che nutre la terra di cielo
Il nuovo lavoro di Giovanni Dino, pur essendo prevalentemente imperniato sulla madre terra – o meglio – sull’universo che ci ospita e ci circonda, accoglie le varie problematiche esistenziali e l’intimo pensiero dell’autore con le relative emozioni ed epifanie.
Le liriche si susseguono ravvicinate dando voce a un canto omogeneo, e l’intensità del sentire unita all’umile riconoscenza verso Dio per tutte le meraviglie del creato, ricorda il cantico di San Francesco. Dino ama visceralmente. Non si limita ad ammirare la bellezza della natura, bensì sente di farne parte come unità biologica dello stesso disegno divino.
Egli svolge il suo percorso “agreste” fornendo dettagli preziosi che rivelano una notevole conoscenza della materia, certamente frutto dell’insegnamento paterno, e dedicate al padre troviamo delle liriche molto pregnanti che trasmettono il grande vuoto lasciato. Il poeta cerca di colmarlo adoperando gli attrezzi che gli erano appartenuti: “Ho rimesso l’anima nei suoi attrezzi | impolverati da cumuli di stagioni | anche quella zappa dal manico lasco | fra le mie mani è divenuta | energica voce di reminescenza”. In questo modo riesce ad avvertirne la presenza, anche se il distacco ha provocato un segno indelebile: “Della sua assenza mi rimane il tormento | come un pargolo svezzato anzitempo | le cui labbra rimangono attaccate al cielo”.
La scrittura di Dino non si avvale di giochi o ricerche strutturali, bensì si dipana con scioltezza e la parola acquista il suo valore primario: quello di comunicare, di trasmettere appieno la purezza e la spiritualità con le quali si è accostato al contenuto della silloge. Il canto è rivolto alle sue radici, alla sua Sicilia, ma dai testi non emerge una consueta rivisitazione nostalgica. Come lui stesso ha ben spiegato nella nota che li introduce, con quest’opera non ha voluto emulare Virgilio né consigliare i giovani di abbandonare gli studi per dedicarsi alla cura della terra, ha voluto solo evidenziare che ormai viviamo imprigionati dentro le mura della nostra casa, e pur se con tanti confort, siamo sempre più soli. L’uomo ha perso il ritmo lento del tempo, i profumi che inebriano, la serenità di una semplice esistenza, il benessere che si prova al contatto con la natura. Con Il progresso ci siamo disumanizzati e intossicati.
L’intento di Dino è manifestare questa consapevolezza, far capire che alle volte bisogna fermarsi e guardarsi attorno; soprattutto, rendersi umili di fronte alla bellezza del creato. Tanto è profondo il suo sentire che dai versi scaturisce la meraviglia, e tutto ciò che s’incontra in natura, si veste di originalità. Dino vuole svelarci che: “Chi scopre il ‘sentimento’ della campagna è un po’ come un innamorato che non riesce più a vivere lontano della persona che ama.”.