Are Caverni Lidia – Canzoni d’erba

Canzoni d’erba

Lidia Are Caverni propone la sua nuova raccolta di liriche dal titolo Canzoni d’erba, che è suddivida in due sezioni: L’occhio del falco e Virus.

Per iniziare, vorrei sottolineare la struttura poetica adottata da Lidia Are Caverni. Le sue poesie sono di breve/medio respiro dal verso ampio che scorre ininterrottamente dall’inizio alla fine, senza interpunzioni e senza sintassi logica; quasi un fiume senza freni.

Il lettore in questo modo è costretto ad interagire con la scrittura dando egli stesso gli stacchi necessari per comprenderne appieno il significato. Rimane così coinvolto nella scrittura stessa e il dettato lo imprigiona emotivamente.

Lidia Are Caverni è molto attenta al trascorrere della vita e il suo occhio professionale e poetico rileva tutto ciò che scorre quotidianamente, con le conseguenti emozioni e sensazioni che la portano a riflettere sul perché di ciò che vede e accade, cogliendo il valore che ogni cosa o situazione comporta e che può accendere il suo vibrare poetico.

Da questa sua propensione prende il nome la sezione L’occhio del falco, che è composta da liriche variegate che parlano appunto del quotidiano regalandoci delle bellissime immagini, evocate con varie sfumature di tono e musicalità. Troviamo l’atmosfera della laguna veneziana avvolta di luce dall’alba fino a quando si dipana il giorno, come ben conclude la lirica.

Lidia Are Caverni si avvale di una pacata liricità che rende il discorso denso e pregnante, soprattutto quando descrive l’ambiente dove regna la natura. Il cielo, il sole, la luna, l’immensità del mare ma pure quadri montani dove regnano camosci e marmotte, fronde di alberi oppure campi deserti dell’ultimo raccolto, ecc.

Addentro a questa atmosfera ambientale e costante si aggirano i pensieri, i ricordi, le elucubrazioni di Lidia. Troviamo sovente un interlocutore, una presenza, che non sono sempre gli stessi. Con loro dialoga ma non li nomina mai direttamente. E’ un dialogo che si sposa a un soliloquio, dando vita a ricordi a volte sereni, a volte amari. Emozioni, reminiscenze, personaggi, sempre avvolti da un po’ di mistero poiché non vengono mai resi espliciti e s’ intrecciano appunto con la bellezza e la diversità dell’ambiente.

Tuttavia, si recepisce sovente la figura di una persona amata, alla quale Lidia dedica ricordi di momenti salienti, a volte velati da una certa nostalgia, ma sempre fusi in un’atmosfera pregna di altre presenze del mondo animale e vegetale. Prevalgono scene acquatiche, silenzi di barene o l’immensità del mare.

Con questi testi si entra in una liricità pura dove il mondo assume un altro volto e un altro valore, quasi un nuovo cantico alla natura e alla vita.

Il titolo della prima sezione è stato scelto da un verso della lirica che la conclude e che inizia dicendo: “Adusto si vedeva un volto obliquo / che arrecava ferite perso nell’orizzonte / era quello del vecchio marinaio / occhio nero di falco che solcava il mare / cercando inquieti percorsi non avresti / voluto incontrarlo mai destini si perdevano / dietro la coda di pesci abissali smarriti / in fondali dove non penetrava la luce…” ed oltre.

E’ sulla forza dell’espressione, sulla ricerca del vocabolo più consone, delle varie metafore, degli accostamenti tra l’uomo, gli animali e l’ambiente, che Lidia Are Caverni crea un nuovo tempo nel quale riunisce ogni singolo elemento ad un tutto grandioso ed armonico.

Nella seconda sezione del libro, intitolata Virus, l’atmosfera cambia colore e non si ritrovano più i toni paradisiaci di prima. Il titolo stesso ci riporta all’esperienza più tragica, paurosa e cupa che abbiamo trascorso con l’inizio della pandemia e che ancora si trascina tenendoci in sospeso, anche se in questo periodo sembra meno pericolosa.

I testi prendono in considerazione i mesi di marzo, aprile e maggio del 2020, quelli del primo impatto con il virus, che hanno stravolto il nostro pianeta portando alla luce quanto il mondo ormai sia piccolo e indifeso se un microscopico virus può creare tanta sofferenza e tanti morti. L’uomo credeva di essere quasi onnipotente con la tecnologia avanzata e le continue scoperte della scienza. La terra invece, o qualcuno al di sopra di noi per chi crede, ci hanno messo di fronte ad una dura realtà facendoci cambiare prospettiva anche per il futuro con altre possibili pandemie.

Nel mese di marzo si recepisce l’impatto emotivo al cospetto della nuova condizione. Lidia dice: “Tremano le foglie non sanno/ se genereranno fiori il cielo / azzurro risplende non vede / il nemico che incombe…” e il non poter uscire crea una lotta interna anche se la casa è un “caldo asilo”. Non resta che attendere.

Anche in queste liriche continua la presenza delle altre creature e della natura . Cresce però la tristezza che la porta a dire: “ …consumo la mia poca / vanità e allontano lo specchio / che mi fa vecchia…”. Infatti, tutto si rende più pesante seppur s’intravveda la primavera, fino ad assumere toni più cupi dove “Si spezza il sole in questi giorni / di tormento nuvole portano la pioggia / a bagnare corpi senza più vita…”.

Lidia Are Caverni guarda fuori e già la presenza di qualche bimbo che gioca accende un minimo di speranza.

Arriva aprile e i rami iniziano a fiorire donando un po’ di colore anche se i giorni continuano ad assere lunghi. La natura continua a vivere e a generare nuove foglie e colori. Pure i merli becchettano tranquilli, tutto questo in contrasto con la grave situazione di continue morti. Tutte creature che non potranno più rallegrarsi con la visione della vita prorompente che ogni primavera dona. Ma il virus incombe ancora e l’unica speranza di non prenderlo resta il riparo di una mascherina, come ben dice Lidia: “Sventola sul filo nel giorno / di sole non è un panno steso / ad asciugare non è una bandiera / per la libertà è solo una mascherina...” ecc.

Nella costrizione ricorda altre primavere quando in libertà si sentiva rinascere con una rinnovata voglia di muoversi. Resta in ogni modo qualche segno che le scalda il cuore, come quello di un piccolo dono floreale della persona amata.

Anche in questa contingenza,locchio del falco di Lidia vigila costantemente su ogni cambiamento e su tutto ciò che succede al di fuori.

Il mese di maggio inizia con una bella e intensa lirica dedicata alla morte del padre e poi l’atmosfera si fa leggermente più lieve, anche se il virus è sempre presente e porta momenti pesanti con morti continue e ore passate forzatamente a casa. Ma l’animo di Lidia è propenso a rimirare ciò che si svolge all’esterno con voli d’uccelli, nuovi fiori e colori che la primavera dona. Manca in ogni modo il contatto con gli altri, i mancati abbracci a causa del nemico invisibile che ha sconvolto la vita quotidiana.

Con il passare dei giorni però s’ infiltra un filo di speranza e l’animo si apre ad una possibile rinascita o almeno ad un possibile ritorno di una certa normalità, come ben descrive Lidia: “…un giorno grida di bambini nel prato / a calpestare l’erba i capolini superstiti / dei fiori lontana è la paura il nemico / tace ultimi numeri che rincuorano / passerà.”.

Termina così quest’ultima raccolta di Lidia Are Caverni, che ci ha regalato momenti di intensa liricità e ha fissato indelebile lo stato d’animo del periodo oscuro che tutti abbiamo passato e che ci accomuna.