Cantarutti Ludovica – Nel prudente abbandono

Ludovica Cantarutti inizia la raccolta Nel prudente abbandono con una voce apparentemente delicata, e pagina dopo pagina arricchisce il dettato di vicende ed emozioni fino a rapire l’interesse del lettore. L’occhio è attento allo scorrere della vita, la sua sensibilità capta tutto ciò che la circonda e sanguina per i segni certi di una lenta distruzione; così può rendere protagonista un ignaro granchio in un ambiente contaminato, oppure descrivere una primavera malata: “Più caldo gli pare | e più vecchio | di parole | di smog imbronciato | e si domanda. è cambiata la stagione?”.

In tutto il libro serpeggia un senso di caducità: non un pessimismo o una negazione assoluta, ma un tono di rassegnazione per la consapevolezza che tutto ha una fine e che la vita è una prova difficile, una prova che genera inevitabilmente dolore e pianto: “Ciò che di me stessa assente | ritrova nel fruscio dell’acqua | la culla di piccole onde indomite | alle prove della vita | che al pianto lasciano la guida | dell’animo mio errante”.

Non mancano in ogni modo immagini lievi “Io e te Giovanna andiamo nel futuro | custoditi dalle. fate | e dai baci della mamma”, e nostalgiche epifanie. Le brevi liriche della sezione “Poesie per un anno” (una per ogni mese), esprimono nella sinteticità del verso un pensiero intenso e folgorante. Nella sezione “Guerra in Bosnia, le donne” il tono si rafforza per proporre delle scene cruenti, e rendere appieno la disperazione di una tale condizione: “Sei tu il mio amore? | Allora ti accarezzerò coi moncherini | e trascinandomi coi gomiti insanguinati | vorrei vedere se in quella ,fessa | tu respiri ancora”.

Un libro che si aggiunge alla ricca produzione della Cantarutti, già nota nell’ambito culturale, senz’altro da segnalare.