Galatà Maria Grazia – Quintessenza
Quintessenza
Devo dire che sin dagli esordi, Maria Grazia Galatà ha affiancato nomi illustri della vita poetica e non è mai stata coinvolta dal sottobosco letterario. Stasera presentiamo il suo quarto libro di poesie e con i precedenti ha ottenuto un buon successo di critica e di premi letterari.
Maria Grazia non si dedica solo alla poesia bensì lavora da anni con la macchina fotografica, con la quale crea immagini molto originali che raffigurano la sua visione concettuale/informale, ricca, anche in questo caso, di luci ed ombre che rendono una realtà “altra” piena di mistero. Chiaroscuri molto forti e visioni in dissolvenza. In suoi libri vi è appunto il connubio poesia/immagini, dove testo e poesia si sposano perfettamente.
La poetica di Galatà appartiene alla ricerca. Le sue liriche non si limitano al significato ma si addentrano nei meandri dell’inconscio, tanto da creare un’atmosfera nella quale verità e finzione lasciano spazio all’immaginario del lettore, il quale nell’ambiguità del discorso coglie ciò che più lo affascina.
Ciò denota che i suoi testi non sono di facile lettura poiché si deve vagliare ogni espressione e cercare di capirne il vero concetto. E’ un’elaborazione di una ricerca intellettiva ardita e originale.
Nella prefazione del libro, Sonia Caporossi ha inteso appieno l’intento di Maria Grazia Grazia, quando dice: “E’ una parola poetica, quella di Maria Grazia Galatà, concepita come monade logica della migranza, se a migrare sono i sensi e i detti, le sensazioni e le percezioni, per approdare sempre in nuovi luoghi metaforici, in nuove lande sconosciute da esplorare …”
Addentrandosi nella lettura si coglie una certa solitudine. E’ il dolore per il distacco che la vita ci presenta continuamente da persone e cose amate. In certi casi il dolore provoca una disgregazione, come dice lei stessa: “e così ruppi ogni spigolo / del cuore – ogni punto salvato / solo per poco …”, oppure ancora “… il buio più profondo / in questo lembo di terra mentre / il cielo mancava ancora lacrime / niente aveva ragione d’esistere / oltre questo tempo stanco o il / battito accelerato dopo essersi / giustificati del perché si vive / e si perde …”.
La parola buio appare sovente nei suoi versi, a significare la mancanza di una luce assaporata nel passato e spenta definitivamente con il passare del tempo e con i fatti dolorosi che ha dovuto affrontare. In quest’ultimo lavoro Maria Grazia adotta un dire più fluente delle passate edizioni e si lascia andare a versi di più largo respiro, che scorrono avvolgendo e coinvolgendo il lettore. Resta in ogni modo un dire enigmatico, carico di ombre e simbolismi inconsci. Infatti, anche il sogno appare spesso nei suoi versi, quale luogo di mistero e di transito per un possibile “oltre”.
In certi tratti la poesia rasenta un nero assoluto, come quando Maria Grazia dice: “quasi idea o memoria d’oriente forse / l’altra parte del mondo è una cascata di / metastasi – tra le pagine la luna d’agosto.”.
Traspare in tutta la raccolta molto smarrimento, la ricerca di dare un senso a ciò che la circonda, ma soprattutto a ciò che le è mancato e che tuttora le manca. Tuttavia Maria Grazia tenta continuamente di sollevarsi e di sposare la ragione per non sprofondare nel gorgo negativo, così si lascia andare anche a ricordi di momenti piacevoli, come per es.:” … la casa rossa noi / nell’incedere tra la nebbia gli anni / delle rose nello stupore.”
All’interno del volume troviamo un monologo in prosa dove finalmente Maria Grazia apre il suo cuore alla madre e ci dona un testo ricco di sentimento e di nostalgia, tralasciando l’ermeticità della poesia e provocando una grande emozione: “… Hai sentito mamma? Mamma? Non senti mai. Come Dio. Ti ho perduta alla periferia di un mondo senza ricordi ed ho tagliato le vene per te, dentro una mattina nel luogo di una ragione invisibile. Che anno era, il settantotto?”.
Ritornando ai versi, che viaggiano sempre ai confini tra la visionarietà e le rivelazioni enigmatiche di un’analisi del suo profondo, come ad esempio nella lirica “sospensione”, dove dice: “non era che svilimento / del vuoto e il senso tattile / dell’abbandono / nello sradicamento del se / diverso / o tempo inverso…”, Maria Grazia si rivolge spesso a un interlocutore per far emergere i significati nascosti del suo sentire, che si delineano in ogni modo al di là del senso comune, in una dimensione ai limiti dei confini.
Riguardo alla tecnica poetica, troviamo spesso l’uso dello enjambement che, per chi non lo sapesse, è un procedimento stilistico che consiste nella rottura della coesione unitaria metrico sintattica di un verso, il cui senso anziché concludersi si prolunga nel verso successivo. In questo modo, annullando la pausa di fine verso, il ritmo assume un andamento particolare e rende particolare anche il dettato di Maria Grazia.
La poetica di Maria Grazia ci introduce in una dimensione di spazio/ tempo quasi metafisica poiché tra i ricordi e il quotidiano c’è un costante intreccio di sensazioni. La parola ‘tempo’ infatti è molto presente in un continuum di situazioni nella quali concentra il suo sentire.
Nel silenzio, nella solitudine, nello smarrimento, riesce a percepire il significato dell’esistere e a pescare nel subconscio emozioni che superano la barriera dell’apparenza e vagano in un’altra dimensione.