Gabriele Renato – Il comandante della Caccia Reale
Il comandante della Caccia Reale
Nel corposo romanzo di Renato Gabriele “Il comandante della caccia reale”, selezione Premio Campiello 2008, tutto si aggira attorno a don Nicandro Ferrante, protagonista assoluto della storia. L’autore ci riporta al tempo del Regno delle Due Sicilie e con una stesura d’ampio respiro e dettagliata nei particolari, descrive i paesaggi, gli ambienti, gli umori dell’atmosfera ottocentesca, aprendoci un mondo completamente diverso da quello attuale. In quel mondo si muove don Nicandro, ma si discosta da tutti gli altri personaggi. Egli è guardiacaccia della riserva di Astroni e perciò le sue ore trascorrono dentro il bosco al cospetto della lussureggiante vegetazione e dei numerosi animali selvatici, tanto che anche lui assume le sembianze di un animale possente e scattante; soprattutto, agisce e pensa come un animale facendosi trasportare solo dall’istinto e trovando negli alberi gli unici interlocutori che possano comprenderlo. E’ però onesto e abilissimo nel suo lavoro. Gli altri, pur odiandolo, lo temono perché conoscono la spietatezza con la quale rincorre le prede e perseguita i cacciatori di frode.
Un giorno il destino gli riserva una sorpresa. Per un fortuito incontro, lo stesso re Francesco I gli affida l’incarico di comandare la caccia reale alla tenuta della Fagianeria, perciò è costretto a recarsi sul luogo per organizzare il tutto affinché l’evento abbia un risultato mirabile. Per Nicandro è l’inizio di un processo evolutivo. Col nuovo incarico, infatti, ha l’opportunità di conoscere uomini che gli trasmettono un nuovo modo di pensare e di proporsi; cosicché, pur restando essenzialmente un essere rozzo, arrogante e feroce al bisogno, non può fare a meno di acquisire qualcosa di diverso. Ancora più notevole è l’impatto con le donne. Abituato alle sottomesse contadine di Astroni, con le quali può sfogarsi naturalmente, dalle nuove donne apprende la furbizia, la seduzione e la dissolutezza, fino alla perversione. Tra queste, Amalia, che sconvolgerà la sua stessa natura facendogli conoscere la sottomissione amorosa e il sadismo. Don Nicandro non ha più nessuna remora e vuole soddisfare in ogni modo il suo appetito sessuale, non solo con le donne ma anche con il bellissimo barone Acciaroli (un riaffiorare della bisessualità vissuta in età giovanile). Gabriele ci dona delle intense scene amorose, ricche di particolari, che intersecano la traccia del romanzo elevandone il tono.
L’indole primitiva di Nicandro non cambia comunque, come il suo rapporto con gli altri. Quando tornerà ad Astroni, dopo aver terminato la grandiosa caccia reale, tutto tornerà come prima, anzi, ancora peggio di prima poiché dovrà curarsi per una malattia venerea (quasi un giusto castigo per le sue brame) e gli eventi andranno via via peggiorando, anche se la grande caccia gli ha valso la definitiva promozione a Comandante. In questa seconda parte, Renato Gabriele riesce con maestria a descrivere il lento ma inesorabile travaglio dell’animale/uomo Nicandro. Difatti, gli sprazzi d’anima e di pensiero intellettuale che suo malgrado ha acquisito, apportano un maggior contrasto alla sua sofferenza. Neanche il matrimonio riuscirà a salvarlo perché il destino lo colpirà crudelmente proprio nel sesso, parte determinante del suo essere. E per un personaggio così a tinte forti, l’unica catarsi finale può essere solamente quella del sangue.
Queste le tracce portanti del romanzo, che non rivelano sicuramente la notevole qualità dello stesso poiché solo con la lettura si possono gustare i vari incontri, i contrasti, le emozioni le atmosfere. Inoltre, il continuo sovrapporsi del dialetto (che per lo più manifesta il pensiero del protagonista) alla lingua, rende un efficace movimento fonico e colora vivamente ogni scena e ogni accadimento. E nel voluminoso lavoro, che ricorda i grandi romanzi dell’ottocento, la trama abbonda veramente di episodi, motivazioni e riflessioni.