Varagnolo Sandro – La veduta forma

Con il volume La Veduta forma, Sandro Varagnolo ha spezzato quasi un trentennio di silenzio. Già con le pubblicazioni degli anni ottanta la sua voce si era imposta nell’ambiente poetico/letterario di primo rilievo e ora dopo una lunghissima pausa riemerge impreziosita dalla maturità e da un’incessante elaborazione del pensiero, poiché nell’intervallo egli non ha certamente smesso di accostarsi alla poesia.

Varagnolo appartiene alla ricerca. Nei suoi testi non si deve cogliere un’esplicita comunicazione, bensì entrare in un’atmosfera allusiva che lascia libera l’immaginazione. Già dal primo impatto si è affascinati dalla preziosità del linguaggio che denota un approccio intellettuale/filosofico e uno studio approfondito della parola. Ne risulta un dettato complesso e una raffinata musicalità, che serpeggia costante tra i versi.

Anche la struttura è soggetta a variazioni, che si riscontrano confrontando le quattro sezioni in cui è suddiviso il volume. Mentre nella prima prevale la suddivisione in quartine e terzine, nella seconda e terza il testo si ricompatta in liriche di medio respiro, per poi dilungarsi nell’ultima Tre Elegie, dove appare altresì una voce in corsivo in alternanza a quella normale.

Nell’ultima sezione Varagnolo si lascia andare a un’espressione più chiara, quasi una distensione del pensiero. La sua poesia dunque non è facile, anzi, ogni verso abbisogna di un’attenta lettura per poter alla fine ricostruire il suo possibile messaggio. In ogni modo, in tutta la raccolta è molto evidente una ricerca esistenziale. Come ha ben rilevato Cacciari nella premessa, la sua è “un’esplorazione della condizione umana”.

Ogni emozione è filtrata dal pensiero, che pesca nel profondo per poi evidenziarsi con forza evocativa. Inoltre, egli abbraccia tutti gli elementi naturali e i vari paesaggi che ci circondano, e in questo scenario fa succedere gli avvenimenti, le epifanie, i vari stati emotivi e psicologici: “In verità | primavera non è questa che ci insegue, | è questo il mese | del duello e del setaccio. | Appassisce l’ibisco, vane | le fattezze sinuose del giunco. | Trafitti i polsi | la bocca inaridita dai capelli | è similitudine che attarda, | come la fissità del luogo delle pene | e del respiro rimasto inascoltato.”.

Varagnolo si avvale delle molteplici possibili sfaccettature della resa idiomatica per creare una continua tensione intellettiva, ma traspare pure una certa solitudine che si affianca al silenzio e a un malessere che in certi punti rasenta il dolore. Con questo lavoro rientra dunque a pieni voti nell’agone poetico, e si spera che questo nuovo inizio si prolunghi ancora per molto tempo.