Aldo Sisto – Mater

Quando si deve recensire un’opera di una poetessa come Laura Pierdicchi, che ha già pubblicato ben quattordici sillogi di poesia, si ha sempre il timore di essere inadeguati. Questo suo ultimo libro ha un titolo in latino che rimanda subito a un che di sacrale. Come non accostarlo al Mater misericordiae del “Salve Regina” o alle Mater purissima, Mater castissima, Mater inviolata, ecc. delle “Litanie Lauretane”. E infatti per Laura Pierdicchi la figura della madre (e di sua madre in particolare) si veste di sacralità, una sacralità ancora più alta quando la mamma lei viene mancare. A pagina 68 si parla di “purezza del vuoto/di chi non c’è più”, Se la mamma durante la vita ha una sua consistenza fisica, una volta scomparsa si trasfigura e diventa creatura celeste.

I versi della silloge sono contrappuntati da frequenti richiami a quella consistenza fisica: “i tuoi occhi madre, le tua mani madre, la tua voce madre, il tuo profumo madre, la tua pelle madre”, quasi a volerla ancora sentire con i Cinque sensi. Illusione ma anche desiderio dell’impossibile! Si, perché nessuno ci può privare dell’illusione e del desiderio. Si arriva a dire “intrecciati legami hanno fuso il tuo corpo col mio” come nella lirica “È sicuro” e “sangue trasferito nel mio” come nel “tempo ormai un fremito”. Ma la illusione è destinata a finire e allora la poetessa dice “Avrei voluto darti luce/ma eri già oltre il velo”. Finita l’illusione, resta il desiderio, anch’esso non realizzato, di “aggiungerci/al mio passo il tuo passo d’aria per continuare a camminare assieme” In questi tre versi si manifesta una cristiana convinzione o per lo mene una speranza di poter rincontrare nell’al di là le anime dei nostri cari Che la morte non e la fine di tutto è concetto espresso in tre parole a pagina 49 “niente si dissolve” anzi “voglio pensare che lassi sia quiete/che I’immortalità non abbia spine””. È questa la nostra salvezza, a speranza nell’immortalità

Ma intanto noi che restiamo, noi che non siamo ancora “tra i plà” – come dice la nostra poetesse – non possiamo rimanere schiacciati dal nulla della morte e dobbiamo “ricominciare/davanti e uno schermo biancolvergine d’intenti e di emozioni”, “mentre dalla finestra/entrerà un nuovo/accecante raggio”,

I versi di Laura Pierdicchi sono come dei quadri in chiaroscuro, come dei sapori in agrodolce. La constatazione che il presente “d’un susseguirsi di squilibri che divergono dal reale”, che “il rimanere qui è senza scopo” viene affrontata con successo dal già citato “accecante raggio” e dalla “libertà di pensiero” attraverso la quale si possa “immaginare un divenire/che mi consegni uno scopo”, La poetessa avverte l’angoscia di un momento doloroso della vita, privo di scopo ma redime la sua esistenza grazie alla straordinaria forza del pensiero, che può farci ritrovare uno scopo. Caduta e rinascita, angoscia e speranza, questo è capace di fare l’uomo, strana creatura, contraddizione vivente.

Come si vede. di forti contenuti è ricca la poesia di Laura Pierdicchi avvolta in una forma talvolta cruda, talaltra soave. La poesia deve darci pianto ed esultanza, così come belli e tristi sono i momenti della vita.

Chiunque leggerà questo libro non potrà non provare profonda commozione perché la protagonista di esso e la mamma. La mamma, che Laura chiama “sua radice” e che, specie per chi non l’ha più, è sussulto di commozione e di rimpianto.

Vernice – n. 64/2025