Angela Caccia – Mater

Il titolo, che richiama la figura materna nella nuova silloge di Laura Pierdicchi, evoca immediatamente – inevitabilmente -una profonda connessione emotiva e simbolica. La scelta della parola latina “Mater”, poi, non solo conferisce un senso di sacralità e venerazione, ma si riannoda subito all’idea di origine, nutrimento, protezione, insieme a sfumature di nostalgia e irrimediabile perdita. Ciò che colpisce, fin dalle prime pagine, è la generosità con cui l’autrice si immerge nel verso, analizzando, scomponendo e ricomponendo pezzi di tempo. Il suo procedere asciutto e misurato e sempre dolcissimo, lungi dal compromettere l’intensità del racconto, riesce invece a esaltarla, conferendo così ulteriore valore all’opera.
Madre e figlia: un legame spesso complesso, ricco di sfumature e di emozioni contrastanti. La Poetessa, esperta nell’esplorare questo e altri ambiti dell’esistenza, traccia nei versi un hinterland ricco e variegato, dove si intrecciano l’amore incondizionato, le aspettative, le tensioni e i conflitti dell’educare e del crescere. Esperienze, queste ultime, intercambiabili da una certa età in poi e che non mancano di momenti condivisi così intensamente da rimanere indelebili (da pag. 15)
Per la prima volta io
bimba di pochi mesi
fra le tue braccia calde –
colme di cuore esploso
e sangue
trasferito nel mio –
per la prima volta
vidi i contorni e le persone
in movimento
i tuoi occhi madre
e fu la nascita dal tunnel
in una luce sconosciuta
e tutta da scoprire
È libro che ho tentato di leggere cercando di contenere, quasi disseccando, le interferenze emotive. Anch’io, come Laura, ho vissuto l’esperienza di una madre anziana e l’ho seguita nel suo lento declino che l’ha resa sempre più simile a una figlia (a volte penso che l’unico modo per evitare la morte, sarebbe nascere vecchi e risalire a ritroso sino ad un embrione). E queste liriche vanno oltre la bellezza del verso, oltre l’intensità della narrazione: fanno da ponte nella misura in cui restituiscono occhi nitidi capaci di guardarsi indietro e percepire, ora, la lotta interiore di chi è chiamato a fare i conti con la fragilità e la perdita ma anche con la bellezza di momenti d’amore irripetibili (da pag. 16)
Non ho mai detto di te
perché il battito all’unisono
fondeva il mio corpo
con il tuo – un tutt’uno
mai disgregato
dire di te sarebbe stato
violare lo stesso sentire
con voce d’aria
ora si può..
E la poesia, lo si realizza subito, è l’unico genere letterario che può addentrarsi veramente in quel legame se è vero, tra l’altro, che questa riecheggia la radice ultima della parola e, pertanto, “è un ritorno alle madri” (Massimo Cacciari), all’essenza, all’origine, ad emozioni primordiali. A un tempo fermo nella memoria come quello dell’infanzia, quando tutto – bello/brutto, sano/guasto, giusto/sbagliato ecc – ha come pietra di paragone e discernimento, una madre, la propria, che sta al di sopra di ogni cosa (da pag. 35)
Era l’ansia di crescere
quando inaspettato giungeva
il tiepido raggio di maggio –
l’acqua più verde e la vita sotto
un guizzare festoso.
Lo spazio fioriva
tra i recinti dei chiusi giardini.
Era il tocco della tua presa
il tuo profumo madre
dentro di me
il puro frutto dell’immenso.
Era gioia inesprimibile
un lampo nel cielo chiaro
e ancora da pag. 60
È finito.
L’evento ha dipinto di nero
la pagina del passato.
Separarsi
è l’obbligo – l’abbandono
consuma e supera
la misura del comprendere
Nei fili invisibili che uniscono le generazioni, è legame che resta tra le più sorprendenti meraviglie della vita. Segreto che si comprende meglio dopo, quando magari la figlia entra a sua volta nel ruolo di madre.
Nessuno resta “illeso” da questo libro che si interroga senza tregua e con coraggio: quasi un automatismo, rimbalza nel lettore il rapporto con la propria figura materna, la bellezza e la complessità del legame che, pur essendo universale, è profondamente unico per ciascuno di noi. È un canto di resilienza e amore, un omaggio a tutte le madri e ai figli del mondo.
Angela Caccia