Giovanni Chiellino – Bianca era la stanza

Il senso della mancanza percorre tutto il “lamento funebre”, lamento, non nell’accezione del rito pagano come nell’antichità, ma come raccontare, rammemorare la persona amata in modo premuroso e quasi religioso, che Laura Pierdicchi ha scritto per la perdita del padre. Un lamento, quindi, non angoscioso, tragico, istintivo di un pensiero che considera la morte una punizione o la vendetta di forze arcane, una caduta nel nulla, ma il lamento di un pensiero che ha assorbito secoli di cultura e ha appreso che il morire è un passaggio, un mutare, la resurrezione dell’io imperfetto che ritorna alla perfezione dell’Essere, un pensiero che ha acquisito la consapevolezza della necessità del rigenerarsi e trasformarsi in un processo metamorfico verso l’Assoluto, ma che comunque non ci libera dall’umano sentimento del distacco che diviene pacata tristezza e senso della mancanza. Non assistiamo, per questo, a un coinvolgimento dei sentimenti in modo convulso e scomposto, ma contenuti nella coscienza che l’esistenza è un viaggio nel deserto della materia che ha il suo monte Moab nella morte. La rassegnazione, il dolore, la nostalgia ci sono quel tanto che serve a dare vita alla scrittura e ad arricchirla di quelle profonde vibrazioni dell’anima, di quelle oscillazioni del pensiero tra la dura realtà del morire e il sereno sguardo della memoria, tra il vuoto del distacco e la fiduciosa attesa del risorgere, il dubbio del dissolversi nel nulla e la certezza del persistere nelle vene dell’esistere, che danno alle parole l’incanto della poesia: “E tu padre rinasci vita sommersa | grembo primordiale”. La Pierdicchi, moderna prefica, pone la figura paterna sulle ginocchia del suo dolore, vi piega sopra i rami della sua vita, che si aprono in foglie, in fiori, in gemme e comincia a tessere, col filo dell’affetto filiale le parole del trepido ricordare, del triste presente e del concludente futuro che annulla vita e morte e tutto immerge nel “gorgo universale”.

Il lamento è diviso in tre parti: i tre tempi del morire. Nel primo tempo v’è l’inciampo, il guasto, l’insinuarsi nella sinfonia della vita della nota sbagliata, muta, che preannuncia il silenzio: “povero padre è il bacio nero – quello peggiore | quando lei s’innamora e poi ti risucchia”; nel secondo è l’attesa, il prendere atto, ogni giorno, del passo che s’avvicina col tocco della sua ineluttabilità “Intanto lui non si lamenta | ha un sorriso per ogni nuovo giorno”; nel terzo ci coglie lo stridore della porta che si chiude ai luoghi del mutare per aprirsi all’eterna immobilità dell’immutabile “ti ho sfilato la fede | ultimo tocco”. Solo il ricordo si oppone al progredire del morire rifugiandosi nell’infanzia, stanza della innocenza e del sogno, luce d’alba che non conosce l’ombra della sera. In questa luce Laura Pierdicchi parla al padre morente, lo culla sulla distesa ala del suo amore e offre a noi il pacato fluire dei suoi versi in onde che s’increspano e s’appianano assecondando il vento dell’esistere.