Mario Bello – Mater

Alma, grande ed eterna, è la Mater nella poesia di Laura Pierdicchi con questa raccolta interamente dedicata alla presenza-assenza della madre, da considerare non nella locuzione latina come ‘dea madre’ (Cecere e Cibele), quanto come ‘madre nutrice’ e che ricorda in ogni gesto, parola, accadimento. 

Il suo ricordo è vivo, nella sua voce, nelle sue movenze, nei suoi occhi che sono distanti e vicini a un tempo, nella scorrevolezza e armonia dei versi della poetessa nel suo microcosmo, che si allarga nel macrocosmo e negli sguardi di vita di lei e nei tanti fotogrammi dalle ricordanze poetiche.

Antonio Spagnuolo, che ha curato la Prefazione al libro, simboleggia i tanti momenti rammentati poeticamente in un ‘mazzo di rose’, delicato e fragrante, a intrecciare quei ‘legami’ che uniscono l’A. alla madre ‘nel pianto di luce’ che ricade di lacrime e si illumina di nostalgia: una nostalgia,  elevata di significato e profondità di pensieri quasi a fermare quel fluire del tempo e dei momenti da lei ri-vissuti con una forte intensità emotiva, sconfinando nell’eternità che purtroppo attende ogni essere umano.

La Pierdicchi agita ‘la clessidra del tempo’ che ‘si fonda con il divenire’ e dove tutto può variare, e crea nuove forme di vita, come un ‘caleidoscopio/ dalle multiple riflessioni’, aprendo davanti a lei un varco, meglio un intero ‘schermo bianco/ vergine d’intenti e di emozioni’. Vi è la consapevolezza che nella linea del tempo la ‘scintilla dell’inizio’… sia gravida ‘di perdite e squarci/ che rendono oscuro/ il nostro universo’ e, nella sospensione poetica, intensa è l’attesa della poetessa perché le sue ‘ali /possano volare’.  

Le metafore adoperate e le riflessioni filosofiche che accompagnano spesso le liriche sono frequenti e, attraverso le immagini e significati dati, elevano la poesia verso l’alto. Non si tratta di voli pindarici o astratti, I versi della poetessa nascono dal profondo sentimento d’amore per la madre, che custodisce nell’animo e che avverte nella sua corporeità: una corporeità, che si manifesta nelle numerose circostanze ricordate (nei capelli ‘scompigliati fino all’ora del desco/ quando per magia tornavi/ fata turchina’, o nell’abbraccio che favilla ardente o ancora nella voce dal tepore persuasivo) per diventare, con i suoi magnetici versi, un dissolvimento di emozioni, che si nutrono di un’elevata trascendenza. È possibile rinvenire il suo afflato in ogni parola che soffia di brace e di quell’amore che lega e attanaglia il suo vissuto con la mater, che si erge ad essere alma

Le liriche nel loro insieme, in ‘un balletto/ di luci e ombre in alternanza’, aleggiano e si dipanano, prendono forma e ricordano a noi tutti l’esistenza umana, il mistero della vita con le scelte del destino e le sue incognite (‘separarsi/ è l’obbligo’, tutto è ‘in mano altrui’), lasciando a noi ‘la purezza del vuoto/ di chi non c’è più’.

Struggente è la consonanza della poetessa in questo contesto, dove trova ‘inutile soffiare sulle braci/ di un focolare spento’, ‘nel mosaico del niente/ di un giorno di fine’, rendendo la sua raccolta un’espressione di manifesta liricità nelle sue forme espressive, in grado di unire e rendere vibrante il suo tormento, che arricchisce di pulsioni intime. 

Una silloge da considerare di un lirismo unico, intimistico e di pregio, da annoverare come poesia con la P maiuscola.      

IL SALOTTO DEGLI AUTORI – N.92 2025