Mario Bello – Recensione a Il Portale

Le liriche di Laura Pierdicchi, nella pienezza di un dolore provato e di un’assenza (presente al suo io) che perdura senza più paure e tormenti, sono un canto d’amore, frutto di una ricerca interiore che la spinge nel presente ad affrontare i ricordi con uno stato d’animo diverso, più consapevole e maturo.
Il suo viaggio poetico è un cammino intenso di passi, di emozioni, di nostalgie, che assurgono ad elegia in tanti versi, e sono l’espressione di una profonda sensibilità della poetessa, dai sentimenti delicati di cui ci rende partecipi.
Nel suo essere donna colpita dalla tragedia, lei ‘sente’ attorno a sé suoni, voci, rumori, ‘figure’ che hanno trascorso il loro ‘tempo passato’. Questo sentire, avvertire, percepire, ‘nel dubbio di ciò che sembra/ e non è’ la portano ad esplorare, con una forte intensità emotiva, particolari momenti, sicuramente spinta dalla necessità di non dimenticare. Un esempio tra i vari passaggi è ravvisabile nella lirica ’Nessuno sa’. Qui, sublimi sono i suoi versi: ‘Il velo che ci divide/ ti ha lasciato passare/ e mi chiami/ con segnali concreti. Nel fitto silenzio un suono/ un rumore un accendersi/ insolito – un vibrare…/ e ti sento’.
l susseguirsi di memorie e ricordi che si affollano sono in realtà un ‘nonsenso’ e potrebbero portare ad una deriva psicologica ed esistenziale, fino allo smarrimento, ma per la poetessa diventa il ‘corpo lirico’ del suo ‘sentire’, interiore e riflessivo, sublimando quei momenti e traendo dal suo verseggiare una sorta di conforto, quasi di rinascita, con ciò dando un senso alle sensazioni provate. Lei stessa si riscopre in una nuova veste, umana e presente nella dimensione della vita terrena, nel suo ‘divenire’, che ‘è sempre diverso/ anche se uguale a sé stesso’.
Di questo ‘divenire’, che ci ricorda il ‘panta rei’ di Eraclito, in cui tutto scorre, nella concezione di un mondo come flusso perenne, in cui si assiste al perenne nascere e morire delle cose (e dove ‘nella sconosciuta Realtà/ il futuro incerto è prezioso/ solo perché destinati/ a riunirci al Tutto’), la Pierdicchi ha piena consapevolezza, esprimendo in versi il suo pensiero, essendo anche cosciente che nulla ‘succede per caso/ nella continuità/ del nostro trascorrere’, sentendosi ‘una voce fuori tempo/ un rigo di voci stonate’, in cui il suo dire ‘batte sui muri/ e ritorna nell’eco’.
Il suo travaglio è in ogni verso, dove presente e passato si uniscono in quel divenire, e in cui le sue sofferenze di ieri e di oggi sanno essere vicine a noi, sostenute da un pensiero e una sensibilità non comune e feconde di approdi interiori e di ‘fioritura’. Non effimeri ma pregnanti di significato, nella elaborazione del suo stare in questa vita, sono i versi: ‘Un alito di vento/ smuove i semi sotterrati/ in attesa di una possibile fioritura/ per formare l’elemento trapelato/ scatenante il nuovo principio. Nell’intrigo di vene/ le nuove radici/ si stendono piano – impercettibili/ prolificano/ e si proiettano sicure/ verso uno spiraglio di luce’.
Lo spiraglio di luce in realtà diventa l’orizzonte del percorso che la poetessa lentamente e in silenzio percorre, nell’alternarsi di smarrimenti ed evocazioni, tra patimenti e tensioni esistenziali, in una lenta catarsi che si disperde e sfocia in quell’alito di vento. È un percorso che la nostra A. effettua, lirica dopo lirica, e che persegue con tenacia, elevandosi al di sopra del dolore, per ritrovare la speranza, che si riempie nella sua interiorità, con uno spazio conquistato attraverso meditazioni e riflessioni, ed espressa in versi, suggestivamente.
Con acume Pino Bonanno, che ha curato la prefazione del libro, riconosce il senso della poesia di Laura Pierdicchi (una ‘intellettuale colta’) e il coraggio di affrontare i suoi ‘demoni’ (quelle ‘figure’ che ‘sono l’unica vera presenza/ in questa camera/ dove la solitudine danza/ tra realtà e illusione’), ‘accetta con dolore i suoi traumi’ per scoprirsi poi più ‘umana’, attraverso l’utilizzo terapeutico del mezzo poetico che diventa conforto dell’animo.
Non vi è dubbio che il rinvio a Schopenhauer e alle sue teorie (o lezioni) possono essere d’aiuto a comprendere meglio il viaggio interiore e poetico dell’A., nella sua emersione dal sommerso. Il filosofo indica ‘le vie di liberazione dal dolore’, ovvero l’esperienza estetica o arte, l’esperienza morale e l’esperienza ascetica. Sono le fasi del suo viaggio che la donna-poetessa, con la sua ‘arte poetica’ affronta, con la duttilità e versatilità del suo ‘sentire’, non privo di trascendenza e spazi morali interiori, che la portano alla riflessione e a maturare la sua ascesi con il conforto, superando in tal modo tormenti e dolori, in una sorta di liberazione.
È il momento più alto del suo sentire, che non ha metrica e impedimenti di vario tipo. È in realtà il superamento dell’altro distacco, che prima è stato fisico e che per lungo tempo trattenuto è rimasto ‘accanto’ nel suo vissuto, senza liberarsi e liberarlo, fino ad arrivare alla vera maturità della sua esperienza di vita, con un diverso rapporto con l’eternità.
E diventa questa anche la vetta più elevata della vitalità poetica della nostra A., che non dimentica ma vive con gioia le sue memorie, dove l’eco dei ricordi diventano magia, ancora vibrante d’amore, approdando con la fecondità dei suoi versi al prodigio di dare ‘canto’ alla sua esperienza di vita, umana e senza retorica.